di Enrico Brigi
Era la partita da vincere a tutti costi, l’incontro con il quale cancellare una volta per tutte lo zero dalla casella delle partite vinte ma, soprattutto, agganciare in classifica una diretta concorrente come il Bologna per avvicinare la cosiddetta linea di galleggiamento. Le solite parole al vento visto che ci ritroviamo per l’ennesima volta a raccogliere i pochi cocci rimasti, al termine di una prestazione a dir poco imbarazzante, dove la squadra di Mandorlini si è sgretolata senza quasi opporre resistenza. Dopo una partita del genere diventa oggettivamente difficile trovare validi spunti di riflessione perché semplicemente non ce ne sono. E’ decisamente sconcertante vedere una squadra che dice di preparare in ogni suo minimo dettaglio la partita forse più importante di questo drammatico inizio di stagione e che poi, dopo nemmeno un quarto d’ora, si trova già sotto di due reti. Due segnature l’una in fila all’altra, frutto di due inspiegabili ed ingiustificabili amnesie difensive. Rimettere in piedi un incontro partendo da un passivo di due gol dopo nemmeno quindici minuti risulterebbe difficile per qualsiasi squadra, figuriamoci per una compagine allo sbando come è sembrata quella gialloblù vista contro il Bologna. In novanta minuti non c’è stato lo straccio di un tiro in porta – a parte una “mezza” deviazione di Pazzini deviata in angolo da Mirante – ma, soprattutto, si è vista in campo una squadra sfilacciata e disunita, incapace di imbastire una che sia una decente azione di gioco, in grado di impensierire l’ordinata retroguardia felsinea. In situazioni come questa, quando il gioco latita, serve quell’aiuto che solo l’aggressività, il dinamismo, la corsa possono dare. Niente, invece, di tutto questo perché la squadra emiliana, rimessa in ordine con sapienza e sagacia tattica dal bravo ed esperto Roberto Donadoni, ha letteralmente sovrastato i gialloblù sul piano atletico soffocando sul nascere ogni loro minimo tentativo di reazione. E nel calcio, si sa, se non corri almeno quanto il tuo avversario non vai da nessuna parte. Il capitombolo casalingo contro il Bologna non è, però, solo la sconfitta sancita dal campo ma rischia di essere l’immagine di un fallimento su tutti i fronti. Quando la barca inizia a perdere acqua è il momento della caccia al colpevole e questa volta non rimane che l’imbarazzo della scelta. Scontato ma decisamente troppo facile prendersela con l’allenatore, che sicuramente ha tutte le sue responsabilità, ma che non può diventare la panacea di tutti i mali. Sul banco degli imputati non possono non trovare spazio la società, protagonista di una campagna acquisti condotta con poca lungimiranza ed attenzione, e tutti i giocatori insieme, che fino a prova contraria sono quelli che vanno in campo. Si potrebbe star qui a disquisire all’infinito ma non si caverebbe un ragno dal buco. Rimane solo da capire se nelle intenzioni della società c’è veramente quella di tentare di salvare in extremis la stagione prima che la rassegnazione prenda irrimediabilmente il sopravvento. Un punto di non ritorno davanti al quale occorre armarsi di pazienza e razionalità per non lasciarsi sopravanzare da sentimenti come ansia e paura di non farcela. Spiace dirlo ma l’impressione diffusa è che l’unica carta rimasta tra le mani del triumvirato Setti, Gardini, Bigon sià quella del cambio della conduzione tecnica. I giocatori appaiono tremendamente sfiduciati ed in preda ad un black-out psicologico di difficile soluzione. La scelta di un nuovo allenatore potrebbe aiutarli ad uscire da questa terrificante “impasse” e, forse, potrebbe ridare fiato alle speranze di salvezza. Ammesso e non concesso di trovare sulla piazza – a costi non proibitivi – un tecnico in grado di risollevare le sorti ma anche disponibile a sposare questo progetto Verona, serve ribadire come le colpe non siano solo di Mandorlini, costretto dal canto suo a schierare una rosa falcidiata dagli infortuni ma anche inaspettatamente limitata sotto l’aspetto squisitamente tecnico. In ogni caso l’opinione di tifosi e addetti ai lavori è che questa squadra sia irrimediabilmente arrivata al capolinea, oramai incapace di dare il benché minimo segnale di reazione. La sosta di due settimane per gli impegni delle nazionali diventa un importantissimo “time-out ”, nel corso del quale sarà fondamentale capire cosa fare e come fare per tentare di ripartire. Una decisione, anche dovesse essere quella più dolorosa, andrà presa perché attendere ancora potrebbe rivelarsi tremendamente troppo tardi…