Pessina era uno dei talenti più cristallini della nidiata Hellas della stagione scorsa, ma non era l’unico. La sua bravura l’avevano notata tutti, non solo Juric e i suoi collaboratori. E il famigerato “senno di poi” ha dato ragione a quelle impressioni. Perché Amrabat a Firenze viaggia nella mediocrità e Rrahmani a Napoli nemmeno viaggia. Borini è finito a metà classifica in Turchia, Verre è rincalzo alla Samp e Kumbulla deve dimostrare ancora tanto, inondato com’è dalle pressioni della Capitale. Pessina no. Lui l’anno scorso ha brillato, è tornato a Bergamo da infortunato e senza grande stima da parte dell’allenatore e si è conquistato il posto da titolare con allenamenti e partite da grande giocatore. L’addio del Papu ha fatto il resto. Pessina è diventato in pochi mesi da rincalzo a gioiello e il suo cartellino è passato dai 12/15 milioni di un’estate fa ai 30/35 di oggi. Un campione, che secondo Gasperini diventerà importante anche in ottica nazionale.
Rammarico gialloblù? Possibile occasione persa? Forse. Ma l’investimento era notevole e il risultato era prevedibile, ma non certo. Pessina non era ancora un giocatore pronto e una rondine, soprattutto nel calcio, non fa primavera. Senza il Covid e in un’estate normale, senza quell’infortunio all’ultima di campionato, senza i mal di pancia del Papu, forse Pessina sarebbe ancora a Verona. Luccicando all’ombra dell’Arena. E a giugno 2021 il riscatto sarebbe stato molto più semplice e ovvio, anche alle cifre alte che già si conoscevano. Perché due rondini avrebbero fatto eccome primavera.
Invece è andata così. Male per il Verona, decisamente meglio per il giocatore, titolare in A, in finale di Coppa Italia grazie ai suoi gol e in attesa di affrontare il Real Madrid in Champions. Sarebbe potuta andare diversamente rischiando un po’. Ma, si sa, con i se e con i ma non si va da nessuna parte.
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Damiano Conati