Un punto con la Roma, zero con il Genoa. Alti e bassi che dopo appena due gare significano poco o nulla ma che inevitabilmente sollevano le prime critiche. “Il difetto sta nel manico” – tuonano alcuni tifosi. “Un organico clamorosamente competitivo per centrare l’obiettivo della Salvezza” rileva invece in contrappunto il diesse Bigon. Nell’aria è già palpabile il crescente carico di responsabilità su squadra e tecnico che ora devono mettere a tacere i mugugni dimostrando quanto valgono. La piazza è in fermento e la pausa estiva non ha scalfito la solita analisi: l’equivoco Saviola, sistematicamente riesumato, viene analogamente avvicinato al “caso” Pazzini, fin qui poco utilizzato nel 4-3-3 dello sciovinista Mandorlini. Tuttavia, se conosciamo bene il nostro allenatore, sappiamo che i venti votati al cambiamento che soffiano per far vacillare le sue certezze non lo smuoveranno di un centimetro. Il “busillis” non è il modulo. E il futuro del Verona non dipende nemmeno dal “Pazzo”. E’ ovvio che non sono e non saranno mai i singoli a fare la differenza. Il calcio è uno sport che basa i suoi principi sul collettivo e quando la squadra è compatta e gira, ne trae beneficio tutto il gruppo. Gli innesti di Wszolek, Winck, Helander e gli altri, oltre ai ritorni di Romulo, Albertazzi e Bianchetti garantiscono varietà di interpreti e nuova linfa nell’economia di gioco del Verona. Come ricordato a più riprese la passata stagione dal Presidente Setti, sono le motivazioni e la mentalità che fanno la differenza. L’Hellas piegato a Genova non ha perso per questioni tattiche. E’ stato sconfitto perché meno cattivo e determinato. Qualità che in una squadra che vuole salvarsi non devono mai mancare e che contro il Torino dovranno bruciare nell’animo dell’undici titolare gialloblù.
Michele Coratto