Macedonia avariata. Tutta colpa del mercato ortofrutticolo

Partiamo da dati di fatto. I meriti di Mancini, ct dell’Italia: trionfo all’Europeo e un filotto di vittorie consecutive che hanno fatto la storia del calcio. Ma accanto a ciò, i demeriti azzurri: due Mondiali consecutivi non disputati, altri due in cui si è usciti nel girone eliminatorio. Per poi aggiungere la moria di calciatori giovani che offre il campionato italiano (Nicolato: “Per l’Under 21 sarò costretto a pescare in Serie C”) e un sistema calcio malato, dove si fa a gara a chi ha più debiti e nessuno dice nulla se la notizia di settimana è quella di Atalanta e Hellas, uniche società in attivo economico in Serie A.

Però c’è un però. L’Italia è tra i migliori paesi al mondo come cultura calcistica, impianti, mentalità e organizzazione. Ricordiamo ad esempio il Brasile, che può schierare 11 campioni, ma solo quelli, quando in realtà è grande come tutta l’Europa e non riesce ad organizzare più di quattro campionati nazionali (dalla A alla D) e conta pochissime scuole calcio significative. In Italia ogni domenica è una lotta per passare dalla Terza alla Seconda Categoria, senza dimenticare un movimento assurdo che va dai Pulcini agli Amatori.

E allora dov’è il problema? Perché la Macedonia del Nord ha emulato la Svezia paese del Nord e la lontana (1966) Corea del Nord? Cos’è accaduto?

In realtà 40 tiri a 1 basterebbero per mettere la parola “sfiga” come prima nell’elenco delle colpe. Ma aggiungiamone un’altra, giusto perché siamo un portale dedicato all’Hellas e non alla nazionale. La grande colpa di Mancini si chiama gratitudine. Il cittì ha chiamato il “suo” gruppo, laddove poteva, quello dell’Europeo meritato e del filotto di vittorie di cui sopra, quello a cui lui sarà eternamente grato per averlo fatto entrare nel grande libro della storia del calcio. D’altronde un tecnico che allo stage di gennaio chiama un Balotelli qualsiasi, ex calciatore di livello che sta mestamente chiudendo la carriera in Turchia, solo perché con lui ha vinto una Premier col City, è un tecnico che non sempre la mette sulla meritocrazia.

Insigne non è più nazionale, non è nemmeno più da Napoli, con Spalletti che lo tiene in panchina. In testa ci sono i dollari canadesi. Barella è in crisi di ossigeno come tutta l’Inter. Florenzi fa la riserva di Saelemaekers al Milan, addirittura un altro ruolo rispetto al terzino destro dell’Italia e al suo compagno di maglia Calabria. Bonucci, Chiellini, Acerbi, Belotti sono al capolinea nelle loro squadre di club, come lo stesso João Pedro, tolto al Brasile proprio nel periodo della fase discendente della carriera. Ed Emerson Palmieri? 5 anni in panchina e tribuna al Chelsea, oggi titolare al Lione: ma è davvero il miglior laterale sinistro italiano? In generale molti giocatori dell’Italia di ieri non sono campioni, se si eccettuano due o tre casi. E nel nostro campionato sembrano buoni solo perché il livello non è eccelso e sono circondati da stranieri più forti.

In nazionale dove sono i volti giovani? Il ricambio generazionale? Ma soprattutto dove sono quelli che se la meritano per davvero una chance azzurra? Caprari, Zaccagni, Dimarco, Frattesi, Faraoni, Calabria, gli stessi Tonali e Pellegrini. Da nord a sud l’Italia è piena di talenti, il calcio è ancora il primo sport nazionale, eppure si sceglie per gratitudine e non per merito. E allora hanno poco senso le parole di Gravina che sconsolato pensa al 30% di giovini italiani che giocano nel campionato Primavera, con il 70% di stranieri, se poi il suo allenatore fa giocare solo i suoi fidati. Ok, alcune regole vanno cambiate in meglio, è giusto che sia così. Ma va cambiata anche la mentalità italica: che giochino i migliori, i più in forma, quelli che hanno fame, non i prediletti o i protetti da certi procuratori. Altrimenti per un Mondiale ci sarà da aspettare ancora molti anni.

 

Damiano Conati

Sono nato a Verona nel 1982, sono sposato e ho tre bellissimi bambini. Laureato in Scienze della comunicazione, sono iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 2005. Giá collaboratore di molte testate locali, presidente di una società di basket, ho vissuto tre anni in missione in Brasile e attualmente lavoro come operatore sociale in Caritas Verona.

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