Mutti: “Pippo e Toni che coppia!”

Un po’ allenatore, un po’ papà. Lino Mutti ha visto crescere Inzaghi all’antistadio, gemma ancora in embrione dell’Hellas di Pessotto ma anche di tanti signor nessuno.
Era un bambino Superpippo, quando il Verona lo prese dal Leffe. Domenica al Bentegodi, vent’anni dopo, sarà tutta un’altra storia.
Mutti, che ricorda del primo Inzaghi?
«Era giovinetto, ai tempi del Verona faceva il servizio militare. Lo vedevo dal venerdì in poi, anche se durante la settimana si allenava con la nazionale militare. L’avevo avuto anche l’anno prima al Leffe, di sicuro di qualità ne aveva parecchie. Grande fiuto del gol, grande temperamento. Sapeva già allora quel che voleva».
L’ha chiamata quando è diventato allenatore del Milan?
«Sì, mi ha telefonato. Ci siamo sempre sentiti io e Pippo. Sapevo che sarebbe arrivato prima di tanti altri a questi livelli».
Gli ha dato qualche consiglio?
«Solo uno. “Mettici del tuo, sempre. Che il Milan sia il tuo Milan”, gli ho detto. Lui ha sempre avuto un entusiasmo incredibile per tutto quel che faceva. Anche al Leffe, dove arrivò ancora molto acerbo ma con tanta voglia di emergere. Adesso, in certi contesti, si troverà di fronte a tante situazioni in cui sarà chiamato a dover mediare. È importante invece che porti avanti il più possibile i concetti che ha in testa».
Un giorno all’antistadio, dopo un gol sbagliato, gli disse: “Pippo, se continui così di strada non ne fai tanta”. Non è andata esattamente così…
«Direi di no, ma all’epoca Pippo era solo un ventenne affamato di gol senza gli strumenti giusti per sfruttare tutte le sue doti. Spesso correva più di quanto non dovesse, a volte al momento del tiro il pallone gli restava dietro. Doveva crescere tanto. E io, da ex attaccante, sapevo quel che gli mancava».
Come lavorò nello specifico su Inzaghi?
«Tecnicamente c’era molto da fare. Fosse stato per lui in quegli anni avrebbe giocato da solo, senza gli altri. Era molto individualista ma amava lavorare. Molto attento, sempre in prima fila. Non facevi fatica a farti seguire. Anzi, a volte dovevi persino frenarlo. Ricordo l’anno di Leffe dava la sensazione di uno che voleva spaccare il mondo. L’amore per il pallone era nel suo dna».
Inzaghi è figlio soprattutto di quale allenatore?
«Ne ha avuti tanti di bravi, per carità, ma sono orientato a credere che i suoi primi insegnamenti siano stati quelli dello spogliatoio, di un calcio visto soprattutto con i propri occhi e non attraverso il riflesso di chi l’ha guidato in panchina. Non ci dimentichiamo che negli ultimi tempi il calcio è cambiato velocemente, in primis per quel che riguarda la condizione fisica e l’organizzazione. Pippo più che guardare agli altri avrà cercato nel proprio bagaglio i princìpi da trasferire alla sua squadra».
L’avrebbe immaginato allenatore del Milan già a quarant’anni?
«Era nell’aria, poteva avere il Milan prima di Seedorf ma è meglio per lui che la chiamata sia arrivata dopo. Pippo poi a Milanello è di casa, era chiaro che sarebbe finita così. Domenica però, contro l’Hellas, avrà una brutta gatta da pelare».
Del Verona cosa la colpisce in particolare?
«È difficile fargli gol. Duro da affrontare per tutti, con un giovane là davanti che sa pensare a buttarla dentro così come a lavorare al servizio del collettivo. Toni sta confermando sempre più la sua grandezza».
Se l’immagina Toni e Inzaghi insieme?
«Sarebbe stata davvero una grande coppia. Due con caratteristiche opposte e quindi perfettamente complementari. Avrebbero fatto le fortune di ogni allenatore».
Quanto la partita può deciderla l’esperienza di Mandorlini?
«Di sicuro Mandorlini ha un bagaglio superiore, ma Inzaghi ritengo abbia idee chiare. Il Verona ha il suo calcio, fatto di sostanza e di tanto equilibrio. Il Milan vive una fase sperimentale, a Pippo servirà del tempo per sistemarlo come vuole. È chiaro però che in questo momento l’Hellas sia una squadra più matura e solida del Milan»

Fonte: L’Arena

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