Penzo: “Toni e Klose saranno protagonisti. Verona ama Mandorlini e lui alimenta l’idea di calcio all’Hellas”

È fin troppo facile definire Lazio-Verona come la sfida tra i giganti del gol, o i vecchietti con il vizio della rete. Ma tant’è: la prossima gara dell’Olimpico vivrà delle fortune (o meno) e delle giocate di Miroslav Klose e Luca Toni. Il laziale, mai come quest’anno, appare sgombro da impegni e grandi eventi targati Deutschland, riuscendo a dare alla sue prestazioni quella continuità che lo completano e che tanto stanno aiutando Pioli & Co a sbrogliare situazioni e partite pronte a complicarsi. Ultima, ma solo in ordine di tempo, l’efficace prestazione contro il Torino: assist, giocate, accelerazioni e strappi improvvisi in grado di mandare fuori giri la retroguardia di Ventura. E la squadra festeggia e ringrazia: chiedere a Felipe Anderson. Di fronte, Luca Toni, che da quando è arrivato sulle rive dell’Adige ha conosciuto solo che miglioramenti, consensi e valanghe di goal. Gli ultimi due in ordine di tempo, quelli che hanno steso il vacuo Napoli di Benitez, rappresentano le specialità della casa; forza e temperamento il primo, intelligenza tattica e senso della posizione il secondo. Inevitabile, dunque, attendersi scintille in campo: loro, “Kloni”, come li avevano battezzati i tifosi del Bayern, che dal 2007 al 2009 se li videro scorrazzare assieme nell’Allianz Arena, non tarderanno l’appuntamento, c’è da crederlo, pronti a sfidarsi a suon di giocate e goal, possibilmente. E parlando di bomber, di gol, di fatica e di abnegazione, la redazione de Lalaziosiamonoi.it è andata a disturbare uno dei centravanti più completi che circolarono negli anni ’80 nei campi nostrani. Grinta, incisività, capacità di prendere legnate per poi restituirle senza, però, fare un fiato, fiuto del gol: questo e altro ancora era Domenico Penzo, bomber di razza e vero “numero nove”. Un carriera iniziata e proseguita sui campi polverosi della serie C e della D, in cui tanto bene si diceva di questo ragazzone dai piedi buoni. L’acquisto da parte della Roma allenata da Fabbri, anno domini 1974, non si rivela dei più azzeccati: troppo freddo il maestro, troppo scalpitante l’allievo. E allora, via, pronti a ripartire. Domenico Penzo di gol ne fa e ne fa molti, al Nord come al Sud. A 28 anni, la Serie A, matrigna, si riaccorge di lui: dopo 198 partite e 61 goal – mica bruscolini – sparsi tra Benevento, Bari, Monza e Brescia, Domenico Penzo approda al Verona di Osvaldo Bagnoli: sarà un incontro folgorante per entrambi. Il tecnico della Bovisa, capirà, utilizzando le doti di Penzo, quale tipologia di attaccante gli fosse più congeniale per vincere, anche con un piccola: Preben Elkiaer Larsen era un Penzo più sregolato. Il numero nove, invece, inseritosi a meraviglia negli schemi del tecnico milanese, potrà farsi le ossa per puntare al grande salto: due anni col gialloblù indosso (1981-1983) gli valgono il bonus del trasferimento alla corte degli Agnelli e di Trapattoni. Con la Juventus, arrivano la gloria e le vittorie: non tutti possono dire di aver vinto Coppa delle Coppe (per giunta lasciando il proprio sigillo indelebile nella prima partita del torneo: quattro delle sette reti che schiantano il Lechia Danzica sono a firma sua, ndr) e tricolore nello stesso anno; era la Juve del 1983-1984, che si riprese immediatamente il tricolore dalle maglie della Roma, tornando a dire la propria anche in Europa. Domenico Penzo, bomber vero e silenzioso, che per chiudere la carriera si regala un biennio accanto a un certo Maradona. Poi nell’88 il ritiro: ma chi segna più di cento gol nella sua carriera, non si ritira mai: ha quasi tatuato il “nove” sulla pelle, su quella schiena capace di sopportare pesi, fatiche ma anche incommensurabili gioie. Che partita sarà Lazio-Verona, i segreti di Mandorlini e di Pioli, come si mantiene il passo Champions: ecco cosa ci ha risposto Domenico Penzo.

Tra Lazio e Verona, con le debite differenze di classifica, motivazioni e ambizioni, chi arriva meglio al confronto di domenica?

“Credo che entrambe le compagini arrivino col vento in poppa e col massimo della concentrazione a questa sfida. Certo, la rosa della Lazio non si discute e non compio peccato se dico che è superiore a quella dei gialloblù. Attenzione, però, perchè la Lazio se la dovrà sudare, scendere in campo con attenzione e dedizione. Mandorlini non parte battuto e verrà a giocarsela con la convinzione di ottenere il massimo dei punti; non viene, il Verona, per prendersi un punto ed accontentarsi. Credo che però Pioli e i suoi queste cose le sappiano, e bene, anche. La Lazio vorrà continuare la striscia positiva; leggo di molti tagliandi venduti e questo non può che rendere ancora più frizzante un ambiente che mi pare sia in gande fermento. Ho molta curiosità nel vedere che incontro verrà fuori”.

È chiaro che Lazio-Verona sia anche e soprattutto Klose contro Toni. Concorda?

“Come non potrei? Riguardo Toni, sono ormai due anni che posso ammirare le sue prestazioni al Bentegodi; è un piacere vederlo correre, fare da sprone per i più giovani, mettere al servizio della squadra il suo senso del lavoro e le sue capacità di leader. Secondo il mio punto di vista, non è per nulla facile, arrivare in una piazza come quella di Verona, dopo aver vinto tutto, e rimettersi in gioco, così tanto e così bene come sta facendo Toni. Gol a parte, mi piace molto come ricambia Mandorlini, prestandosi alle sue disposizioni con convinzione e senza fare drammi o problemi, se le scelte del tecnico rischiassero di penalizzarlo. Debbo dire che le stesse identiche parole possono essere sottoscritte per Miroslav Klose. La punta laziale sta facendo un grandissimo torneo; sale il rimpianto di non averlo avuto al top nelle stagioni precedenti, dove forse anche il ragazzo aveva priorità diverse e competizioni a cui teneva particolarmente, a causa di una serie di infortuni capaci di penalizzarlo, e molto per giunta”.

E invece, guardando il film del campionato di Lazio ed Hellas, che opinione si è fatto dei due “registi” Pioli e Mandorlini?

“Guardi, a Verona ci si incontra nella quotidianità, la citta è piccola; qualche tempo fa, parlavo con Osvaldo Bagnoli, con cui condivido l’appartenenza ad una associazione con scopi benefici fondata da noi ex dell’Hellas, e verificavamo come dopo di lui, e ci mancherebbe, Andrea Mandorlini è l’allenatore a cui l’ambiente gialloblù è legato intimamente. Se si pensa a quanto ha dato per la causa dell’Hellas, si ben comprende come i tifosi tutti siano legati a questo tecnico che con il suo carattere, la sua grinta, a volte qualche polemica di troppo, è riuscito a ridare linfa e fasto all’idea di calcio a Verona. Non dimentichiamoci che Mandorlini prese la squadra quando, in Prima Divisione, boccheggiava rischiando addirittura la Seconda. Credo sia pronto anche per il salto in una grande piazza, anche perché ritengo che il troppo rimanere su una panchina che si è riportata in auge, crei nei confronti dell’allenatore, una sorta di immunità, pensando a quanto bene ha fatto in passato, rischiando di non addossare responsabilità per eventuali stagioni scadenti. Si rischia cioè, di perdere contatto con la vita di un allenatore, che è fatta anche di momenti difficili. Mandorlini può crescere ulteriormente, è ancora una nuova leva del nostro calcio e può arricchire sensibilmente la caratura tecnica di nostri allenatori. Altrettanto bene può fare, come sta già facendo, Stefano Pioli. Grande motivatore, preparato, ricordi di averlo apprezzato già quando guidava la Primavera del Chievo. Questo Paese ha bisogno di allenatori giovani, capaci e caparbi, che abbiano voglia di arrivare e di proporre cose nuove. E mi lasci dire, con un piccolo accento polemico, che abbiano fatto la giusta gavetta, su campi difficili dove non ti regala nulla nessuno, anziché venir catapultati su panchine anche prestigiose, quasi a caso”.

A questo punto della stagione, cosa deve, ma soprattutto cosa non deve fare, la Lazio per puntare con decisione al secondo posto?

“Arrivati a questo punto, bisogna essere bravi a rimanere con la mente sgombra da eccessivi pensieri. Soprattutto bisogna pensare che anche si arrivasse terzi, o comunque in Europa, non dovrebbe essere considerato un fallimento, al contrario. La Lazo merita l’Europa, non c’è dubbio, ma l’importante è rientrare nelle competizioni continentali il più velocemente possibile. Bisogna essere bravi a lavorare sulla propria autostima, non facendola scadere in arroganza. Lavorare giorno per giorno, alimentare l’entusiasmo e vedere come va a finire. Infine, approfittare dei passi falsi degli avversari. A questo riguardo, chiudo con una battuta: se la Lazio raggiungesse un obiettivo così prestigioso dovrà ringraziare anche noi dell’Hellas, dopo il favore di aver fermato il Napoli la scorsa settimana (ride di gusto, ndr). Scherzi a parte, l’obiettivo è alla portata, Pioli sa come fare”.

Salutandola e ringraziandola, una curiosità: a Roma la rivalità con i giallorossi è tutto, è il bello e il limite al tempo stesso di questa città. Come si può classificare la rivalità tra Hellas e Chievo?

“Non si può classificare, semplicemente perché non esiste. Non possiamo minimamente pensare a rivalità storiche come quelle di Roma, Genova, Torino. Qui a Verona, anche da parte di noi dell’Hellas, c’è molta stima e simpatia, per quello che una società di quartiere è riuscita fare nel corso degli anni. Ma non c’è paragone, e lo dico senza alcuna arroganza o supponenza. L’Hellas, a pieno titolo, ha storia, tradizione, volti e personaggi che hanno scritto pagine memorabili di questo nostro calcio. Gli altri possono sperare nello stesso destino. Ma serve tempo. E credo che ce ne vorrà molto”.

Fonte: lalaziosiamonoi

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